Flyways
Flyways è una serie fotografica incentrata su due modalità di lavoro sempre più urgenti in un mondo governato dalla distruzione diretta – e indiretta – della vita umana e non umana. In quest’opera – la prima a fondere esplicitamente la ricerca e la pratica artistica dell’autrice con il suo ruolo di riabilitatrice ufficiale della fauna selvatica – Sheida Soleimani propone simboliche vie di fuga, instaurando un nesso tra la devastazione della vita e l’aspirazione a un futuro più giusto e accogliente per tutte le specie. In quanto operatrice ambientale e figlia di profughi iraniani vittima di persecuzione, detenzione e tortura per il loro attivismo, Soleimani ha sperimentato in prima persona la capacità delle infrastrutture di ferire e uccidere. Costruite come tableaux stratificati, le sue fotografie presentano attraverso immagini recuperate online e oggetti simbolici e carichi di significato una duplice narrazione: le storie delle persone incarcerate per aver partecipato al movimento di protesta Donna Vita Libertà in Iran e le vicende degli uccelli migratori feriti affidati alle cure di Soleimani. L’artista ha svolto ricerche intensive per individuare le storie delle persone in carcere, tra cui quella della propria madre. Per portare alla luce e far circolare fuori dal paese queste storie (generalmente censurate dal regime Iraniano), ha comunicato con molti cittadini lavorando per garantirne la sicurezza. Allo stesso tempo per proteggere l’identità di queste persone ha sostituito i loro volti con le immagini degli uccelli affidati alle sue cure. Così facendo, ha fornito delle “rotte migratorie” che permettono loro di attraversare i confini politici e i canali di comunicazione ufficiale.
Sheida Soleimani (nata nel 1990) è un’artista, educatrice e attivista iraniano-americana che vive a Providence, Rhode Island (USA). Figlia di rifugiati politici fuggiti dall’Iran all’inizio degli anni Ottanta, indaga le storie di violenza che collegano l’Iran, gli Stati Uniti e il Medio Oriente. Ricorrendo a forme e mezzi diversi – fotografia, scultura, collage e film –, spesso si appropria di immagini di partenza tratte dai media popolari/digitali e le ricolloca all’interno di contesti inquietanti.